Fotografia. Tra voyerismo e sensi di colpa: guardare le vite degli altri in attesa di smettere i panni del fotoreporter di Hitchcock

di Vito Stano

Guardare la porzione di mondo che gli si presenta davanti, dapprima come osservatore puro e poi intervenendo nella scena alla ricerca di prove che possano inchiodare il colpevole di un delitto. Voyerismo e sensi di colpa per non aver agito in tempo: 'La finestra sul cortile', film di Alfred Hitchcock del 1954, è questo e tanto altro. Ed è su questo guardare (anche con binocolo e teleobiettivo) dalla finestra dell'appartamento, dove il protagonista è costretto a causa di una gamba ingessata, che si innesta l'analogia con il recentissimo "presente" di domiciliazione forzata (dovrei scrivere passato, ma se ne sente ancora l'ombra che aleggia su balconi e davanzali), durante la quale abbiamo avuto modo, per necessità o per noia, di osservare la vita che scorreva e alla quale non potevamo prendere parte, almeno non come avremmo voluto. 


Certo c'è stata la rete e c'è ancora a connettere tutti e tutto (almeno quello che è possibile connettere), ma sappiamo bene che le cose non si equivalgono mai. Possono assomigliarsi ma equivalersi no, proprio no. Ed è proprio lì che l'analogia con il fotoreporter d'assalto ingessato e costretto su una sedia in casa si rafforza: molti di noi assalivano la vita come lui durante un'azione e oggi ci ritroviamo ad aspettare. Aspettiamo tutto: una telefonata per ricominciare il lavoro così come abbiamo aspettato la fine del lockdown. Aspettiamo ancora oggi il nostro turno in file più o meno ordinate fuori dai negozi, lì dove prima entravamo come sardine in scatola. 


Siamo cambiati ne sono certo, ma in questo il piglio romantico non fa capolino; mi piace dire che è peggiorato quasi tutto: dalle relazioni personali (la distanza tra parenti è ancora la regola) alle aspettative professionali (tutto fermo o si muove così lentamente che non si vede ad occhio nudo). E restando alla metafora del vedere ad occhio nudo, il fotoreporter di Hitchcock guarda con i dispositivi ottici a sua disposizione (binocolo e teleobiettivo) ma curiosamente non scatta neppure una fotografia. E qua sta la differenza con noi reclusi a causa del covid-19: non saprei dare cifre esatte su quante fotografie sono state scattate dai balconi e dalle finestre, ma di certo i click digitali sono stati così numerosi da creare un precedente storico. 

  
La privacy e la fotografia (e quindi il guardare l'altro), in effetti, sono due pilastri concettuali che a volte fanno fatica a stare assieme. L'educazione al voyerismo è una parte della più generale degenerazione che notiamo ormai da anni: la tv è stata la cattiva maestra con i suoi programmi trash di intrattenimento mattutino e pomeridiano senza senso alcuno. La fotografia ha poi proseguito la strada con alcune pratiche poco edificanti: la sovrabbondanza dei selfie o la riproduzione in copia di fotografie già fatte (da sé o da altri) con l'unico scopo di attirare i likes sui social network sono due tra i campanelli d'allarme ormai spenti a cui più nessuno presta attenzione. 

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