Fotografia. Le accuse alla Storia: la fotografia coraggiosa di Daniele Volpe

di Vito Stano

Questa storia per immagini raccontata da Daniele Volpe mi accusa. Mi dichiara colpevole di quel disinteresse delle sofferenze altrui figlio del nostro tempo. Leggendo queste fotografie mi torna alla mente un fatto di attualità che sta scaldando gli animi di molti cittadini italiani, sorpresi durante le lunghe sofferenze dovute alla pandemia e alle mancate celebrazioni natalizie, che si sono risvegliati dal sonno infantile dell’indifferenza con la lista dei luoghi che dovranno accogliere le scorie nucleari. E la Murgia, la mia terra, è già in subbuglio. Come ai tempi di Scanzano Jonico.

Intanto devo ammettere di aver avuto fortuna, anche questa volta. Ho desiderato possedere un libro e sono stato accontentato. I fratelli non scherzano. E neanche Daniele Volpe. Questo volume (che racconta la distruzione del patrimonio naturale originario della Madre Terra in quel luogo geografico che conosciamo come Guatemala) è un dono del fotografo. Con questo gesto generoso Daniele Volpe mi ha permesso di scoprire il suo primo lavoro ‘Bajo el mismo cielo’: progetto sofferto e appassionato nelle tonalità del bianco e nero. Diverso e uguale in generosità e vicinanza all’ultimo progetto (premiato all’edizione 2020 del World Press Photo) ‘Chukel’. Altro genocidio da inserire nella timeline della Storia. Questa volta Daniele Volpe usa la grammatica del colore. E non sbaglia. 

I colori degli indumenti tradizionali dei popoli Ixil-Maya si fanno quasi tridimensionali. La fisicità del colore valorizza l’azione del lungo e complesso progetto fotografico, che ha visto come protagonisti i familiari delle vittime del genocidio perpetrato dagli uomini dell’esercito guatemalteco e dei gruppi di paramilitari. E sullo sfondo le vicende processuali che vedono imputato il generale golpista Jose Efraín Ríos Montt, testa pensante del genocidio dei popoli Ixil-Maya avvenuto nei primi anni Ottanta.

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